L'attenzione risveglia la fantasia
La riscossa dell’audio sul video è confermata dalla ritrovata vitalità del podcast che diventa fenomeno di massa e stimola l’immaginario: tutto quello che la TV da tempo ha rinunciato a fare
La riscossa dell’audio sul video, o comunque sul multimediale, è forse figlia di un desiderio di ritorno all’attenzione, affaticati come siamo da tanti, troppi stimoli che aggrediscono occhi, orecchie e altri sensi.
Come nel caso del video, tuttavia, anche l’ascolto va sempre più nella direzione dell’on-demand, e della fruizione su canali diversi.
Prova ne sia la crescita degli audiolibri, ma soprattutto l’esplosione dei podcast: un mezzo non più nuovissimo in sé ma che negli ultimi anni ha trovato anche in Italia una propria piena dignità e posizionamento: nel 2020, il 41% degli italiani ha ascoltato almeno un podcast. Certo, molti di questi non sono altro che la riproposizione di programmi radiofonici, ma già da diversi anni il podcast è diventato un vero e proprio genere.
Negli Stati Uniti, nel 2014 fu Serial a rendere il podcast un fenomeno di massa: la scoperta dei dettagli di un’indagine reale, puntata dopo puntata, con le voci dei veri protagonisti e l’attento utilizzo dei suoni come parte integrante del racconto, ha tenuto incollati milioni di ascoltatori in tutto il mondo.
In Italia, la sua miglior realizzazione è probabilmente Veleno, il podcast con cui Pablo Trincia e Alessia Rafanelli hanno raccontato (e portato alla riapertura) il caso dei “Diavoli della Bassa Modenese”. Anche in questo caso, al di là dell’encomiabile lavoro giornalistico e dell’emozione suscitata da voci e documenti reali, lo studio sonoro delle ambientazioni e la colonna sonora hanno dato al prodotto un deciso cambio di velocità.
Torna in mente quando in radio esistevano professionisti incredibili esperti nel produrre rumori. Si chiamavano proprio così, rumoristi: negli sceneggiati a puntate, accompagnavano la recitazione degli attori con effetti ottenuti dall’uso di ogni tipo di materiale pur di crearne un suono simile a quello del cigolio di una porta, del sorvolo di un aereo, dei freni stridenti di un’auto, di una caffettiera in ebollizione. Sono cambiati gli strumenti per riuscirci, non il bisogno di generare emozioni.
Il True Crime non è però l’unico mondo in cui il podcast dilaga. Gli editori se ne sono accorti: Spotify ha appena effettuato l’ennesima acquisizione di una società nel settore (Ringer), e si è già assicurata nel suo catalogo talent del calibro di Harry e Meghan e Michelle Obama.
E non sorprende, quindi, che anche i brand si stiano confrontando attivamente con questo format. Certo, con un’offerta sempre più ricca e variegata, la sfida è quella di proporre qualità e angolazioni diverse da cui trattare un tema, una nicchia, sempre in maniera autorevole. È lì che si fa la differenza. Non basta raccontare una storia che parli di noi, della nostra realtà: serve un racconto che parli a coloro a cui chiediamo ascolto e attenzione.
Insomma, sembra tornato il tempo dell’immaginario. Tutto quanto è ascolto può ancora esserci d’aiuto a stimolare il pensiero e la fantasia, mentre alla TV non è nemmeno il caso di chiederlo: la risposta sarebbe quella di un commerciante imbarazzato, “Mi spiace, l’articolo è esaurito”.
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